L’acqua trekking è una attività appassionante, economicamente interessante ma con l’aumentare dei praticanti ha cominciato a sollevare perplessità che hanno portato alla necessità di trovare una soluzione, prima che sia troppo tardi.
La conformazione orografica di molte regioni italiane agevola l’avvicinamento a corsi d’acqua presso i quali gli escursionisti sinora si sono avvicinati con amore reverenziale, per un momento di relax, un bagno o rinfrescarsi. Più recentemente hanno incominciato a progredire proprio all’interno del letto dei torrenti dove, attraverso tuffi, nuotate e qualche scivolata, percorrono alcuni divertenti chilometri.
Non è necessario essere escursionisti esperti per svolgere questa attività e neanche nuotare proprio bene dato che si usa anche la muta. L’acqua trekkking è quindi una via di mezzo tra escursionismo e canyoning che si inserisce nel segmento outdoor del turismo attivo e che viene sempre più proposta da guide che portano gruppi composti dalle 15 alle 30 persone.
E’ facile per chi ripete questi itinerari accomunare queste attività ludiche a quelle che si svolgono in mare ma il torrente non è il mare e non è un parco giochi. Le specie che ci vivono sono poche e con spazi vitali che si retringono sempre più proprio nel periodo in cui turisti e appassionati si riversano a frotte: fine primavera – estate.
In alcune regioni come la Sardegna, dove l’acqua trekking sta avendo un boom di presenze come alternativa al mare e grazie alla calura estiva, alcuni quotidiani ed enti pubblici hanno affrontato il problema indicando la soluzione “nell’acqua trekking consapevole” e responsabilizzando il pubblico sulla potenziale diffusione di epidemie da un corso d’acqua all’altro, spiegando le sanzioni e normative in vigore che tutelano le specie e l’ambiente fluviale.
Fare tanti soldi e subito a spese dell’ambiente non è il fine di tutte le guide escursionistiche e alcune hanno mostrato sensibilità rinunciando ad accompagnare o creando, come nel caso di AIGAE nel 2020, delle linee guida per gli associati.
Studi spagnoli e francesi hanno mostrato come questa appassionante attività effettuata in maniera continuativa come attività di massa e senza regole, possa causare dei danni all’ambiente e alle specie. “Occorre uno sforzo da parte di amministratori e delle guide” asserisce il Naturalista Marco Marrosu “perchè si metta davanti al solo aspetto economico l’importanza di preservare il territorio comunale, seguendo piccole regole, rispettando le consuetudini locali, le specie esistenti (senza catturarle per un selfie) e il delicato equilibrio dell’ecosistema… se si vuole che duri”.
Uno dei punti forti di questa attività che viene spesso usato come slogan è che “si riescono a raggiungere luoghi che conservano ambienti incontaminati, lontani dalle rotte del turismo di massa”. Ma se questo è vero, a maggiore ragione l’uomo deve fare maggiore attenzione, non dimenticando che proprio in questi luoghi bisognerebbe muoversi “in punta di piedi” e che le specie che ci vivono sono rare e sopravvissute in quei luoghi proprio per loro inaccessibilità.